Il 1° maggio è lotta di classe!

Il Primo Maggio deve essere l’occasione per celebrare i lavoratori e le loro lotte in tutto il mondo e, mai come oggi, questo appuntamento deve ricoprire un ruolo di primo piano per importanza e urgenza, di fronte ad una crisi strutturale e sistemica della società capitalistica. In un contesto sociale e politico come quello odierno diviene quindi necessario ed inevitabile unire sfruttati e oppressi per organizzare un vero cambiamento!
I suicidi di lavoratori e le morti bianche, le lotte nei luoghi di lavoro contro i licenziamenti, le delocalizzazioni, lo smantellamento dei diritti, la distruzione dei salari e le pratiche antisindacali e discriminatorie di padroni grandi e piccoli sono il segnale di come questa società abbia fatto il suo corso e sia sempre più urgente la necessità di un progetto di un sistema nuovo e migliore, non più sottomesso al dio denaro e al profitto privato di pochi privilegiati ma realmente fondato sui lavoratori e sul popolo.

  • PER L’ABOLIZIONE DEL JOBS ACT E DI TUTTE LE RIFORME CHE HANNO PRECARIZZATO IL LAVORO
  • PER L’ABOLIZIONE DELLA RIFORMA FORNERO E PER IL RITORNO AD UNA PENSIONE DIGNITOSA DOPO 35 ANNI DI LAVORO E CALCOLATA CON IL METODO RETRIBUTIVO
    PER L’ABOLIZIONE DEL DECRETO LUPI, PER IL DIRITTO ALLA CASA
  • PER LA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE DI TUTTI E DI TUTTE, CONTRO RAZZISMO E XENOFOBIA
  • CONTRO LA BUONA SCUOLA DI RENZI. BASTA CON LA TRUFFA DEL LAVORO GRATIS CHIAMATO ALTERNANZA SCUOLA/LAVORO
  • PER IL DIRITTO ALLA SALUTE E PER UNA SANITÀ PUBBLICA

REFERENDUM CGIL: UNA BOIATA PAZZESCA!

Abolizione dei voucher, tutto fumo negli occhi!

Per la classe lavoratrice, l’abolizione dei voucher è come essersi tolti un callo dal piede ma aver lasciato crescere gli altri: si cammina male lo stesso!

I burocrati sindacali cantano vittoria, ma non hanno fatto niente contro le tante forme di lavoro precario in vigore: lavoro in affitto, mini-job, contratti di collaborazione ecc. con salari da fame, senza diritti e contributi per milioni di lavoratori (ferie malattia e pensioni).

Inoltre, ogni contratto che firmano, in qualsiasi categoria, è peggiore di quello precedente: “Non si poteva fare meglio”, dicono se qualcuno protesta.

Cantano vittoria, ma il governo è già pronto a sostituire i voucher con un altro “strumento” per retribuire il
lavoro occasionale, che sarà ancora peggiore per i lavoratori. Per raccogliere le firme hanno speso i soldi degli iscritti, impiegato energie, mobilitato migliaia di persone e strumentalizzato la grande forza dei lavoratori, soltanto per dimostrare ai governi (di qualsiasi colore) che non si può fare a meno di loro.

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OTTO PUNTI DI CLASSE PER L’OTTO MARZO – #7 ABBATTIAMO OGNI CONFINE E OGNI FORMA DI SFRUTTAMENTO – PER UN INTERNAZIONALISMO RIVOLUZIONARIO!

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Proletari-e di tutti i Paesi, unitevi!

Il progresso industriale che segue la marcia dell’accumulazione, non soltanto riduce sempre più il numero degli operai necessari per mettere in moto una massa crescente di mezzi di produzione, aumenta nello stesso tempo la quantità di lavoro che l’operaio individuale deve fornire. Nella misura in cui esso sviluppa le potenzialità produttive del lavoro e fa dunque ottenere più prodotti da meno lavoro, il sistema capitalista sviluppa anche i mezzi per ottenere più lavoro dal salariato, sia prolungando la giornata lavorativa, sia aumentando l’intensità del suo lavoro, o ancora aumentando in apparenza il numero dei lavoratori impiegati rimpiazzando una forza superiore e più cara con più forze inferiori e meno care, l’uomo con la donna, l’adulto con l’adolescente e il bambino, uno yankee con tre cinesi. Ecco diversi metodi per diminuire la domanda di lavoro e rendere l’offerta sovrabbondante, in una parola per fabbricare una sovrappopolazione.

Marx, Il Capitale, Libro, I, 7,25

Quello che succede alle donne migranti è noto. Dal momento che decidono di lasciare il loro paese d’origine, le attende un’odissea fatta di marce estenuanti sotto il sole, violenze fisiche e sessuali da parte della polizia di ogni Stato che attraversano, lunghe peregrinazioni su imbarcazioni sovraffollate. Il 2016 è stato l’anno in cui si è registrato il numero più alto di morti nel Mediterraneo secondo l’UNHCR. Ma il dato più inquietante  è l’aumento della mortalità: nel 2015 il tasso di mortalità per chi viaggiava nel Mediterraneo era di uno su 269, ora è di 1 su 88. Se si prende in considerazione la tratta Libia-Italia, la nostra ipotetica donna migrante, dopo aver scampato la morte nel deserto e sopportato lo stupro in Libia, ha una possibilità su 47 di morire.

Ma chi arriva, le 46 “fortunate” (e fortunati), ha davanti a sè la detenzione nei CIE, l’infinita burocrazia italiana, le domande di asilo respinte e molto probabilmente un lavoro sfruttato e la “clandestinità”.

Che lavori finiscono a fare queste donne? Badanti, prostitute, braccianti agricole, operaie industriali. Ma nel magico mondo capitalista nulla succede per sbaglio: i flussi migratori verso i paesi “ricchi”, alimentati da secoli di colonialismo prima, imperialismo poi, hanno fornito ai capitalisti l’eccezionale beneficio di disporre di manodopera disperata e a basso costo, da mettere in competizione con quella “locale” e abbassare i salari. Vantaggio numero 1.

I migranti rappresentano poi una comoda “emergenza”, per cui lo stato e gli enti sovranazionali sono disposti a sborsare centinaia di milioni di euro, che però non finiscono nelle tasche dei disperati che approdano in Occidente, ma nelle tasche fonde delle cooperative (spesso di matrice religiosa) che li ospitano. Vantaggio numero due.

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OTTO PUNTI DI CLASSE PER L’OTTO MARZO – #6 GARANTIRE IL DIRITTO ALLA CASA

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Sfratti in aumento così come le case sfitte: invertiamo la tendenza

Ogni grande città ha uno o più “quartieri brutti”, nei quali si ammassa la classe operaia. È vero che spesso la miseria abita in vicoletti nascosti dietro i palazzi dei ricchi; ma in generale le è stata assegnata una zona parte, nella quale essa, bandita dalla vista delle classi più fortunate, deve campare la vita per conto suo, comunque vada.

Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, 1845 

 E donde proviene la penuria di abitazioni? Come si è originata? […] Essa è un prodotto necessario della forma di società borghese; che non può sussistere, senza la penuria di abitazioni, una società in cui la gran massa lavoratrice non ha nessuna altra risorsa che il salario del suo lavoro, da cui trarre tutti i mezzi necessari alla sua esistenza e alla sua riproduzione; in cui i perfezionamenti a getto continuo dei macchinari ecc. gettano nella disoccupazione masse di lavoratori; in cui violente fluttuazioni industriali a ritmo regolare provocano da una parte l’esistenza d’una numerosa riserva di lavoratori disoccupati, dall’altra gettano temporaneamente sul lastrico la gran massa di operai senza lavoro; in cui i lavoratori sono ammassati e pigiati nelle grandi città, e ad un ritmo più rapido di quello a cui, nelle attuali condizioni, possono costruirsi le abitazioni per loro; una società in cui, dunque, si deve trovar denaro anche per pagare la pigione anche dei cortili più abietti; in cui, per finire, nella sua qualità di capitalista, il padrone di casa non ha solo il diritto, bensì, grazie alla concorrenza, anche in un certo qual modo il dovere, di ricavare spietatamente dalla sua proprietà i fitti più alti. In una società del genere la penuria di abitazioni non è un caso, è un’istituzione necessaria, può essere abolita, insieme a tutti gli effetti che sortisce sull’igiene e via dicendo, solo se viene sovvertita dalle fondamenta l’intera società da cui scaturisce.

La Questione delle Abitazioni Friedrich Engels (1872)

Avere una casa è un bisogno così fondamentale che diventa difficile e paradossale persino rivendicarne la centralità. Senza casa non ci si scalda, non si cucina, non ci si riposa, non si crescono i figli. Senza casa non si può lavorare. Senza lavoro non si può mantenere una casa. E questo la classe padronale lo sa. Sono le banche, il clero, i grandi proprietari, la classe degli sfruttatori ad avere in mano milioni, letteralmente (7 l’anno scorso) di case sfitte che preferiscono veder marcire per non abbassare il prezzo degli affitti.

La costante ricerca di un lavoro per avere un tetto fornisce alla grande massa degli sfruttati la necessaria “motivazione” per accettare qualsiasi ricatto padronale. Gli sfratti sono in aumento, eppure il 90% di essi avviene per morosità incolpevole. Chi sono questi “debitori incolpevoli” che non riescono a pagare gli affitti innaturalmente elevati dei tuguri che abitano alle periferie delle grandi città? Sono famiglie, spesso donne con figli, migranti, singoli o gruppi di persone che a volte un lavoro ce l’hanno, ma il cui salario non è più sufficiente da garantirle loro un tetto.

La rivendicazione del diritto alla casa è imprescindibile, non solo per le donne, ma per qualsiasi essere umano; tuttavia il soddisfacimento di questo bisogno primario non deve basarsi su una pelosa carità cristiana, ma va rivendicato e ottenuto con una lotta che affonda le sue radici nell’eliminazione totale di qualsiasi forma di sfruttamento. Il padrone non solo ci toglie il tempo, ci obbliga a passarlo a produrre plusvalore per lui, ma ci sottrae persino il diritto a un tetto, per renderci più malleabili, pronti al compromesso, dediti al lavoro. Tutto ciò avviene nella speculazione edilizia più vergognosa, mentre si detassano le abitazioni di lusso e si esonera il Vaticano dal pagamento delle imposte.

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OTTO PUNTI DI CLASSE PER L’OTTO MARZO – #3 LA DONNA NON È UN SERVIZIO PUBBLICO DELLO STATO BORGHESE

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Il lavoro femminile ha doppie catene, ma solo per le proletarie.

Invano la donna lavoratrice passa le giornate da mattina a sera pulendo casa, lavando e stirando i vestiti, consumando energie per sistemare la biancheria rovinata, ammazzandosi per preparare con i suoi scarsi mezzi il miglior pasto possibile, poiché, quando finirà il giorno, non rimarrà alcun risultato materiale di tutto il suo lavoro giornaliero; con le sue mani infaticabili non avrà creato durante il giorno nulla che possa essere considerato merce nel mercato commerciale.

(A. Kollontaj Il Comunismo e la famiglia, 1921)

Spesso si sente dire da più parti che è necessario liberare “tutte le donne”, che vi sono problemi che le tutte le donne condividono. Mentre tutte le donne condividono un destino biologico, il problema dello sfruttamento non viene in realtà vissuto dalle donne borghesi né dal punto di vista del lavoro esterno, né da quello del lavoro domestico, per cui viene impiegata manodopera sfruttata a basso costo.

Quindi no, non dobbiamo rivolgerci a tutte le donne, ma solo a quelle sfruttate, in casa o fuori, solo a quelle che non sfruttano il lavoro altrui per il proprio sostentamento. In altre parole, nella lotta per la liberazione effettiva di tutta l’umanità non si può prescindere dalla classe. Una vera lotta femminista non può che sovvertire l’ordine sociale e quindi, di conseguenza, l’ordine economico da cui deriva questa società oppressiva.

Le donne proletarie  stanno pagando il prezzo più alto delle politiche riformiste degli ultimi 30 anni su più piani paralleli, mentre su quello del lavoro aumentano precarietà, disoccupazione e si riducono i salari, le riforme allo stato sociale domicilia obbligano a colpi di legge gli anziani ad essere accuditi a casa, riducendo l’assistenza pubblica domiciliare e le strutture pubbliche a favore di finanziamenti ai privati, riducono gli orari degli asili pubblici e tagliano le mense scolastiche. In questo modo lo stato borghese scarica i costi del lavoro di cura sulle famiglie ed in particolare sulle donne meno abbienti le quali non hanno i mezzi economici per pagare servizi o strutture private.

Un esempio? La “tutela e valorizzazione delle persone anziane”, Legge Regionale 5 del 1994 e la “promozione della cittadinanza sociale” Legge Regionale 2 del 2003 (in Emilia-Romagna) che sanciscono che il luogo deputato alla cura degli anziani e delle persone non autosufficienti è la casa. La presa in carico dell’ammalato da parte della famiglia e della società si è trasformato in uno scaricamento economico e di responsabilità da parte dello Stato sulle spalle delle famiglie e quindi principalmente delle donne.

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OTTO PUNTI DI CLASSE PER L’OTTO MARZO – #2 UGUALE LAVORO UGUALE SALARIO

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A chi giovano lavoratori discriminati per sesso, età e provenienza geografica?

È entrata nella vita economica per portare un po’ d’aiuto al proprio marito: il modo di produzione capitalistico la trasformata in una sleale concorrente; voleva aumentare il benessere della famiglia, e ne ha peggiorato la situazione; la donna proletaria voleva guadagnare perché il destino dei suoi figli fosse migliore e viene quasi sempre strappata dalle loro braccia. […] Per queste ragioni la lotta d’emancipazione della donna proletaria non può essere simile a quella che conduce la donna borghese contro l’uomo della sua classe; al contrario, la sua lotta è la lotta insieme all’uomo della sua classe contro la classe dei capitalisti.

(K. Zetkin, Die Arbeiterinnen- und Frauenfrage der Gegenwart, 1889)

In Italia le donne guadagnano mediamente il 71,7% del salario degli uomini, ma con molte differenze nei settori economici e nelle diverse qualifiche: un’operaia ha una retribuzione pari al 67,6% dell’operaio, una donna quadro guadagna l’85,8% dello stipendio lordo di un lavoratore maschio con la stessa qualifica. La parità salariale verrà raggiunta tra 118 anni. Le donne costituiscono la maggioranza della popolazione povera. È una discriminazione inaccettabile, non solo perché ha una componente di genere, ma perché questo squilibrio va a danno dell’intera classe lavoratrice. È il gioco sporco dei padroni, il dumping salariale, ossia mettere i lavoratori in competizione tra loro per poter abbassare ulteriormente i salari. Inoltre, mettendo le donne contro gli uomini, il padronato ottiene un altro vantaggio: disgregare ulteriormente la classe lavoratrice già divisa e frammentata e spingere le donne dentro casa, a svolgere lavoro “improduttivo”. È l’unità della lotta degli sfruttati che impensierisce i padroni. In questo senso le rivendicazioni femminili dell’otto marzo non devono e non possono rimanere confinate al solo ambito femminile. Migliorare i salari delle donne significa anche migliorare quello degli uomini: la competizione salariale va ad esclusivo vantaggio di chi sfrutta; finché ci sarà qualcuno che lavora per meno, siano essi donne, migranti (o in altri tempi persino i bambini), tutti saremo obbligati a lavorare al ribasso con grande gioia della classe padronale.

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OTTO PUNTI DI CLASSE PER L’OTTO MARZO – #1 IL LAVORO È AUTODETERMINAZIONE!

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Il reddito di cittadinanza non è abbastanza!

Apparirà allora che l’emancipazione della donna ha come prima condizione preliminare la reintroduzione dell’intero sesso femminile nella pubblica industria…
(F. Engels. L’origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato (1884)

Uno dei fondamentali princìpi diffusi dal capitalismo è l’accettazione della povertà come fattore intrinseco al sistema e inevitabile stato naturale delle cose. Questo principio è utile al capitale per continuare a mantenere e riprodurre la povertà come strumento di sfruttamento degli esseri umani, basato sulla proprietà privata e finalizzato all’arricchimento di pochi. In una società dove chi è povero appartiene al più ricco come fosse un oggetto non c’è da stupirsi che le donne, pur rappresentando la maggioranza della popolazione mondiale, siano assoggettate al sistema capitalista, vivano in condizioni economiche più disagiate perché sfruttate dallo stato, dal padrone e anche dagli uomini, subiscano violenze di ogni sorta dentro e fuori la famiglia. Rigettiamo con forza ogni pensiero politico produca la povertà in nome del profitto e ogni pensiero politico che accetti la povertà come un dato di fatto, rigettiamo inoltre con forza tutte quelle soluzioni intermedie che non risolvono il problema alla radice e di sicuro non impensieriscono gli sfruttatori. Basta disperdere le lotte delle donne in mille rivoli che presi singolarmente sono condannati all’insignificanza. È ora di riconoscere che i problemi delle donne hanno un unico comune denominatore: la società patriarcale e in ultima analisi lo sfruttamento da parte del sistema capitalista. Lottiamo invece per una società libera dalla povertà e dallo sfruttamento, vogliamo le donne libere dall’uomo e tutti e due liberi dal capitale.  Per queste ragioni riteniamo di primaria importanza la indipendenza economica delle donne dagli uomini come il primo passo verso la liberazione dalla schiavitù imposta da questo sistema economico e la necessità imminente di recuperare tutti quei diritti che ci sono stati tolti dalle riforme del lavoro e dello stato sociale.

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Una commedia già vista: subentra una nuova gestione e…

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di Marla Taz

Si tratti di aziende o di cooperative il teatrino non cambia: quando un’azienda cambia gestione o una cooperativa subentra ad un’altra tramite appalto al ribasso, il costo del minor prezzo viene pagato dai lavoratori. È il caso dei 21 lavoratori ex PLURIMA S.P.A., azienda che si occupava dei trasporti materiali ospedalieri e il cui appalto è stato vinto dalla COPURA di Faenza. Nel passaggio di gestione i lavoratori assunti il 25 gennaio si son visti dimezzare lo stipendio e i contributi, ridurre le ore contrattuali da 40 a 28, il carico di lavoro da svolgere in quasi metà tempo è aumentato creando ritardi nelle consegne, sono rimasti 17 lavoratori perché 3 si sono licenziati in quanto lo stipendio non garantiva la sopravvivenza.  “Non si placano le lamentele e le discussioni sui ritardi nelle consegne del sangue, anche da parte di Responsabili Copura Soc. Coop. nei confronti dei lavoratori impiegati”: queste le parole del sindacato che ancora non ha trovato un accordo con COPURA e ci auguriamo questa volta a favore dei lavoratori e non del padrone. Intanto i dipendenti minacciano sciopero ad oltranza davanti alla sede dell’ASL ROMAGNA, respingono ogni accusa attribuita a loro carico per i ritardi denunciando che, a fronte della riduzione di orario e del necessario e obbligatorio rispetto del codice stradale, vi è stato uno spropositato aumento della burocrazia da parte della soc. coop. entrante.

Basta appalti al ribasso! Anche i servizi di trasporti materiali ospedalieri devono essere pubblici, così come i dipendenti.

Basta finanziamenti diretti e sgravi fiscali alle cooperative che sono a tutti gli effetti aziende private come tutte le altre. Il denaro pubblico deve rimanere nel pubblico!

Basta con il lavoro subordinato dei lavoratori delle cooperative! Vogliamo l’abolizione della legge 142 del 3 aprile 2001 che regala  di fatto la possibilità ai soci amministratori di sfruttare i soci lavoratori!

#pcl #faenza #copura #cooperative

Lettera di un’operaia di Melfi ad un mese dalla sperimentazione dei nuovi turni di lavoro

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[Da Sialcobas]

“Da qualche settimana è iniziata la sperimentazione dei nuovi turni alla FCA di Melfi ed è già possibile descrivere una situazione tutt’altro che felice per noi donne”.

Riportiamo la lettera di un’operaia dello stabilimento FCA/Fiat di Melfi. Si tratta della SATA (Società Automobilistica Tecnologie Avanzate), la “fabbrica dei record”, una tra le piu’ produttive al mondo. Quest’operaia spiega cosa significa produttivita’: sfruttamento sistematico di tutto quello che c’e’ di vivo in chi lavora.

“Si lavora sei mattine, dalle 6 alle 14, da lunedì a sabato; poi si riattacca domenica sera alle 22, per quattro notti di seguito; poi due giorni di riposo, tre pomeriggi di lavoro (compresa una domenica), due giorni di riposo, tre notti di lavoro, due riposi e altri quattro pomeriggi di lavoro. Finalmente una domenica di sosta, ma lunedì alle 6 si ricomincia daccapo. È come vivere in un continuo cambio di fuso orario.

Già i primi dieci giorni ci hanno sfinite, le ore in fabbrica si trascorrono in piedi davanti a una catena sempre più veloce perché, grazie al “sistema migliorativo Ergo uas”, tutto il materiale ci arriva direttamente in postazione su carrellini trainati dai robot automatizzati che spesso perdono pezzi per strada o si fermano e non vogliono saperne di ripartire. Loro non sentono le minacce dei capi, decidono di non lavorare più e così è se vi pare.

Le operazioni sono tutte cronometrate e le postazioni saturate; in teoria dovremmo star ferme ad assemblare comodamente tutto ciò che ci arriva ma in realtà si cammina, anzi, si insegue la linea e ci si “imbarca”, ossia ci si allontana sempre di più dai confini della postazione disegnati sul pavimento. Basta un qualunque imprevisto, una vite sfilettata o un semplice starnuto, per rendere spasmodica la risalita. A volte ci paragoniamo ai salmoni e speriamo che non ci attenda la stessa sorte. Continua a leggere

La necessità di un partito rivoluzionario contro una società che ci rende schiavi

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di Masaniello

Non c’è bisogno di alcun sermone domenicale, o di fantasiose previsioni sul futuro, per capire che il sistema attuale orchestrato dal capitale non è più sostenibile: quando la ruota della storia si blocca e non gira più, ecco che i nuovi frutti della storia sono tutti marci e si ripetono in forma di farsa le tragedie del passato. Marx per primo ha spiegato chiaramente il perché del fallimento della nostra società basata sul profitto, e perché l’unica prospettiva futura per l’umanità sia il comunismo.

Il comunismo non è un’utopia come si ostina a farci credere chi trama e trema contro esso, il comunismo è la strada giusta da intraprendere e l’idea che è necessario diffondere tra gli sfruttati.

Il comunismo ha come perno il lavoratore, non il fantomatico cittadino grillino, o il patriota più becero dei partiti fascisti di turno, servi del potere. Il lavoratore, cioè quella classe sociale che produce e consuma, quella classe che non realizza la sua vera potenza, abbindolata dalle più belle promesse puntualmente disattese, abbindolata dalle più nefaste illusioni, da un falso cretinismo anti ideologico spacciato per libertà, che ci illude attraverso i suoi raggiri, di poter essere indipendenti dalla nostra stessa classe di appartenenza. Continua a leggere