OTTO PUNTI DI CLASSE PER L’OTTO MARZO – #7 ABBATTIAMO OGNI CONFINE E OGNI FORMA DI SFRUTTAMENTO – PER UN INTERNAZIONALISMO RIVOLUZIONARIO!

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Proletari-e di tutti i Paesi, unitevi!

Il progresso industriale che segue la marcia dell’accumulazione, non soltanto riduce sempre più il numero degli operai necessari per mettere in moto una massa crescente di mezzi di produzione, aumenta nello stesso tempo la quantità di lavoro che l’operaio individuale deve fornire. Nella misura in cui esso sviluppa le potenzialità produttive del lavoro e fa dunque ottenere più prodotti da meno lavoro, il sistema capitalista sviluppa anche i mezzi per ottenere più lavoro dal salariato, sia prolungando la giornata lavorativa, sia aumentando l’intensità del suo lavoro, o ancora aumentando in apparenza il numero dei lavoratori impiegati rimpiazzando una forza superiore e più cara con più forze inferiori e meno care, l’uomo con la donna, l’adulto con l’adolescente e il bambino, uno yankee con tre cinesi. Ecco diversi metodi per diminuire la domanda di lavoro e rendere l’offerta sovrabbondante, in una parola per fabbricare una sovrappopolazione.

Marx, Il Capitale, Libro, I, 7,25

Quello che succede alle donne migranti è noto. Dal momento che decidono di lasciare il loro paese d’origine, le attende un’odissea fatta di marce estenuanti sotto il sole, violenze fisiche e sessuali da parte della polizia di ogni Stato che attraversano, lunghe peregrinazioni su imbarcazioni sovraffollate. Il 2016 è stato l’anno in cui si è registrato il numero più alto di morti nel Mediterraneo secondo l’UNHCR. Ma il dato più inquietante  è l’aumento della mortalità: nel 2015 il tasso di mortalità per chi viaggiava nel Mediterraneo era di uno su 269, ora è di 1 su 88. Se si prende in considerazione la tratta Libia-Italia, la nostra ipotetica donna migrante, dopo aver scampato la morte nel deserto e sopportato lo stupro in Libia, ha una possibilità su 47 di morire.

Ma chi arriva, le 46 “fortunate” (e fortunati), ha davanti a sè la detenzione nei CIE, l’infinita burocrazia italiana, le domande di asilo respinte e molto probabilmente un lavoro sfruttato e la “clandestinità”.

Che lavori finiscono a fare queste donne? Badanti, prostitute, braccianti agricole, operaie industriali. Ma nel magico mondo capitalista nulla succede per sbaglio: i flussi migratori verso i paesi “ricchi”, alimentati da secoli di colonialismo prima, imperialismo poi, hanno fornito ai capitalisti l’eccezionale beneficio di disporre di manodopera disperata e a basso costo, da mettere in competizione con quella “locale” e abbassare i salari. Vantaggio numero 1.

I migranti rappresentano poi una comoda “emergenza”, per cui lo stato e gli enti sovranazionali sono disposti a sborsare centinaia di milioni di euro, che però non finiscono nelle tasche dei disperati che approdano in Occidente, ma nelle tasche fonde delle cooperative (spesso di matrice religiosa) che li ospitano. Vantaggio numero due.

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Lettera di un’operaia di Melfi ad un mese dalla sperimentazione dei nuovi turni di lavoro

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[Da Sialcobas]

“Da qualche settimana è iniziata la sperimentazione dei nuovi turni alla FCA di Melfi ed è già possibile descrivere una situazione tutt’altro che felice per noi donne”.

Riportiamo la lettera di un’operaia dello stabilimento FCA/Fiat di Melfi. Si tratta della SATA (Società Automobilistica Tecnologie Avanzate), la “fabbrica dei record”, una tra le piu’ produttive al mondo. Quest’operaia spiega cosa significa produttivita’: sfruttamento sistematico di tutto quello che c’e’ di vivo in chi lavora.

“Si lavora sei mattine, dalle 6 alle 14, da lunedì a sabato; poi si riattacca domenica sera alle 22, per quattro notti di seguito; poi due giorni di riposo, tre pomeriggi di lavoro (compresa una domenica), due giorni di riposo, tre notti di lavoro, due riposi e altri quattro pomeriggi di lavoro. Finalmente una domenica di sosta, ma lunedì alle 6 si ricomincia daccapo. È come vivere in un continuo cambio di fuso orario.

Già i primi dieci giorni ci hanno sfinite, le ore in fabbrica si trascorrono in piedi davanti a una catena sempre più veloce perché, grazie al “sistema migliorativo Ergo uas”, tutto il materiale ci arriva direttamente in postazione su carrellini trainati dai robot automatizzati che spesso perdono pezzi per strada o si fermano e non vogliono saperne di ripartire. Loro non sentono le minacce dei capi, decidono di non lavorare più e così è se vi pare.

Le operazioni sono tutte cronometrate e le postazioni saturate; in teoria dovremmo star ferme ad assemblare comodamente tutto ciò che ci arriva ma in realtà si cammina, anzi, si insegue la linea e ci si “imbarca”, ossia ci si allontana sempre di più dai confini della postazione disegnati sul pavimento. Basta un qualunque imprevisto, una vite sfilettata o un semplice starnuto, per rendere spasmodica la risalita. A volte ci paragoniamo ai salmoni e speriamo che non ci attenda la stessa sorte. Continua a leggere

Essere piccoli non significa non essere

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di Falaghiste

L’esistenza di una qualsiasi forma di vita è la prova che vi sono le condizioni per la sua esistenza. Tuttavia, la semplice esistenza non specifica la condizione in cui essa si trova nella lotta per la sopravvivenza: se è in fase di sviluppo, di stasi o decadenza.

Tutto dipende dalla capacità di adattamento alle trasformazioni dell’ambiente circostante e dalla forza di competizione-interazione con le altre specie.

La scienza è in grado di prevedere l’estinzione o lo sviluppo di una determinata specie e può intervenire modificando il suo habitat affinché possa cominciare a svilupparsi di nuovo.

Tuttavia, se le condizioni generali sono particolarmente sfavorevoli, la scienza è impotente di fronte alla grandiosità dei fenomeni naturali.

In questo caso l’unica strategia è adattare geneticamente la specie in decadenza, per renderla competitiva rispetto a suoi antagonisti naturali; rinunciare a intervenire significa condannarla all’estinzione.

Nella politica è la stessa cosa ma con l’essenziale differenza che la “coscienza di sé”, nella lotta fra gruppi di individui e classi sociali, è un fattore determinante, mentre in natura è una questione genetica.

Per coscienza nella lotta politica si intende darsi un’identità, un programma, un’organizzazione, una tattica per il presente e una strategia per non perdersi in futuro. Preoccuparsi, anzi giustificare con i rapporti di forza sfavorevoli l’inazione o la titubanza produce soltanto sfiducia e confusione fra le proprie fila, aggravando il divario con le forze avversarie.

Essere minoranza è una condizione di cui prendere atto ma senza ritenerla eterna o superabile in un futuro indefinito, estraneo dal contesto attuale: rivoluzione e reazione nelle fasi di crisi sociale, politica ed economica sono entrambe possibili anche se, allo stato attuale, la reazione appare vincente.

Questo non significa attaccare il nemico in campo aperto, al contrario, vuol dire cercare varchi fra le sue fila debilitate dalla caduta del saggio di profitto; e se è il caso ritirarsi senza colpo ferire.

Teorizzare l’impraticabilità del presente, e perciò rinunciare alla lotta per l’egemonia all’interno dei rapporti di produzione, lì dove si crea il valore, produce la tendenza a limitare l’azione nelle istituzioni rappresentative dello stato borghese, e perciò anche all’interno delle burocrazie sindacali che svolgono un ruolo fondamentale al servizio della stabilità politica e della pace sociale. Continua a leggere

Elezioni USA: i risultati

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di Giacomo Turci

È ufficiale: Donald Trump, candidato del Partito Repubblicano, è il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America; si insedierà il 20 gennaio 2017.
Trump è riuscito nell’impresa di vincere in tutti gli stati in bilico, gli “swing States”, assicurandosi la maggioranza assoluta dei Grandi Elettori: negli USA, sono questi 540 rappresentanti dei singoli Stati, eletti dai cittadini in base a una proporzione demografica, che ufficialmente voteranno il presidente degli USA tra i vari candidati; Trump ne ha conquistati 279 con quasi il 100% delle urne scrutinate, garantendosi l’elezione.
Nonostante rimanga bassa se comparata a quella degli altri grandi Stati imperialisti, l’affluenza alle urne non è stata bassa per gli standard USA: su circa 220 milioni di cittadini maggiorenni, circa 208 milioni erano legittimati a votare (“eligible”, che non includono carcerati e altri privati del voto) e di questi 194 milioni si erano registrati per votare (procedura assente in Italia) anche se i votanti effettivi sono stati “solo” 124 milioni.
Sia il Partito Repubblicano, sia il Partito Democratico, la cui candidata a presidente era Hillary Clinton, hanno raccolto quasi il 48% dei voti (circa 59 milioni di voti), mentre Gary Johnson del Partito Libertariano (liberale di destra) ha il 3% (4 milioni di voti), Jill Stein del partito dei Vedi l’1% (1,2 milioni di voti), gli altri candidati lo 0,7% (0,8 milioni di voti).
L’inaspettata vittoria di Trump ha sfruttato l’incapacità della Clinton di attirare massicciamente il voto dei giovani, della classe operaia e delle minoranze, prerogativa che aveva segnato tutte le vittorie dei Democratici statunitensi. Continua a leggere

Terremoto: cui prodest?

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Di Partigiano stanziale

Il piccolo mostro di Firenze (Renzi) c’ha un culo grande come la Leopolda. Questa estate le cose gli si stavano mettendo di merda: la “ripresina” l’avevano capito anche i fessi che non c’era, l’asse coi francesi gli era andato a puttane e il referendum rischiava di perderlo di brutto.

Gli era rimasto solo da sperare che continuassero a arrivare tanti profughi dal mare.

Intendiamoci, a lui dei profughi non gliene frega un cazzo ma, essendo essi un pretesto credibile per piangere miseria in Europa, si può provare a mescolare i conti dello Stato, per trattare coi crucchi e garavellare un po’ di lillari da regalare ad amici, sostenitori e committenti.

Ma comunque i profughi non bastavano e se la stava vedendo brutta; insomma, sembrava che non ce la potesse fa’.

E invece che succede? Schioppa la terra, il mazzo gli si rimescola in mano e  si ritrova con un bell’asso da giocare: il terremoto.

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Il bosone di Dio e il buco del culo di lor signori

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Di Falaghiste

C’è una di quelle leggende che gira fra chi s’interessa ancora di etica e ricerca scientifica: un dialogo fra Enrico Fermi e Ettore Maiorana, i due scienziati che furono il cuore propulsivo del gruppo di fisici di via Panisperna, in pieno regime fascista, dal 1926 al 1938.

Fermi, lo sperimentatore, avrebbe detto a Maiorana, riferendosi ai risultati dei loro studi sull’ energia nucleare: “Abbiamo trovato una fonte di energia di grande potenza e praticamente inesauribile”. Maiorana, il teorico, gli avrebbe risposto: “L’abbiamo trovata perché l’abbiamo cercata”.

Cosa voleva dire Maiorana a Fermi? Forse che la ricerca scientifica è il campo più complesso e ampio delle attività umane, dove ad ogni pensiero deve seguire la pratica che lo confermi: un procedere teoricamente senza fine. E che proprio per questa infinitezza della scienza, intesa come conoscenza del tutto, bisogna a priori scegliere cosa cercare, altrimenti se ne perde il senso, lo scopo, la ragione d’essere. Ma può anche succedere che l’obbiettivo diventi la ragion d’essere, allora si finisce per trovare quello che si vuole abiurando l’universalità della scienza, ignorando ciò che essa dovrebbe essere in quanto tale: un servizio al genere umano e all’ equilibrio ecologico che consente la vita sulla Terra.

Insomma, se si cerca l’energia si troverà, se si vuole concentrarla e poi liberarla per ottenere la massima potenza, si arriverà all’energia nucleare ma se ne ignoreranno le conseguenze.

Del resto la scienza è anche ubiqua, si trova in ogni luogo; sicché nel cercare, può accadere di trovare qualcosa che porta nella direzione opposta a quella prevista. E a questo punto, quando ci si rende conto che l’obbiettivo previsto, desiderato e annunciato è impossibile o addirittura non esiste, ecco che avviene la torsione verso la non-scienza, verso l’insensatezza dell’obbligo imposto dalla ragione economica e di Stato. Continua a leggere

La débâcle del lavoro salariato

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di Masaniello

Il Jobs Act ha definitivamente posto una pietra tombale sui diritti dei lavoratori salariati.

Le politiche di destra messe in pratica dal governo di Renzi che altro non è che la prosecuzione delle politiche scellerate dettate da oltre 50 anni dal capitalismo.

Il Jobs Act, la buona scuola o la pensione anticipata previo prestito bancario sono solo la faccia più sporca degli ultimi governi italiani. I continui tagli alla scuola, alla sanità e a servizi in genere portano a situazioni estreme. La sete di profitto del padronato, sostenuta e incoraggiata dal governo con questi provvedimenti, ha causato la morte di Abd Elsalam Ahmed Eldanf, assassinato da un crumiro al soldo del padrone, quella di Giacomo Campo o quella del capoelettricista dell’Atac di Roma. Questi sono solo gli ultimi eroi, loro malgrado, caduti sul campo della sopravvivenza. Eppure da gennaio ad agosto 2015 (ultimi dati disponibili) ci sono stati 752 decessi sul lavoro. Questi dati aprirebbero delle crepe nelle coscienze dei governanti, se fossero veramente dotati della famosa carità cristiana che si sforzano di farci ingoiare ogni domenica. Ma i “valori” della chiesa sono buoni solo per il gregge, nel mondo dei pastori del capitale c’è spazio solo per i profitti. Continua a leggere

Rivoluzioni finte e rivoluzioni vere

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di Masaniello

Quando si indaga la realtà con un metodo materialista e dialettico, tutto appare molto diverso da come vuole il “senso comune”.

Il comunismo dovrebbe essere la casa della stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Invece a causa della guerra di classe condotta dagli sfruttatori, dello stalinismo e anche per colpa della sinistra riformista (che ha fatto più danni di qualsiasi governo di destra o dei cosiddetti moderati) ci ritroviamo a subire il capitalismo.
Con i kapò che sono proprio i proletari stessi che credono di avere un posto al sole ma non capiscono che sono utili fintanto che un altro non prende il loro posto.
Il problema non è la mancanza di interesse, è che proprio non ci arrivano. L’alienazione degli sfruttati ha eliminato in loro ogni traccia di identità classista, anzi a sentir parlare di lotta di classe ti guardano imbambolati, come se tu dicessi “guarda l’asino sta volando”: qualcuno alza lo sguardo, qualcun altro ti risponde in malo modo, ma i più alzano i tacchi e vanno via come se tu parlassi di un argomento che non li tocca. Continua a leggere

IL MANDANTE È IL CAPITALE E I MORTI SONO I NOSTRI

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Si è diffusa la notizia dell’uccisione di un operaio mercoledì sera, poco prima di mezzanotte, al picchetto in corso alla GLS di Piacenza, portato avanti per l’assunzione in pianta stabile dei lavoratori precari dello stabilimento.

Abd Elsalam Ahmed Eldanf, 53 anni, egiziano, padre di 5 figli, impiegato alla SAEM (appaltante di GLS) dal 2003, è stato investito da un camionista, aizzato da un individuo collegabile all’azienda stessa. Un omicidio (e una tentata strage) che ci riporta a una stagione che molti credevano superata: quella della repressione delle lotte a suon di morti ammazzati di fronte alle fabbriche.

La durezza e l’estensione della lotta operaia nella logistica italiana ha semplicemente fatto emergere la reale natura dei capitalisti: quella di sfruttatori e di repressori dei lavoratori. E quando non bastano i licenziamenti e i tagli, si va oltre: minacce fisiche, botte (dalla polizia o direttamente “fai da te”), omicidi. Questa è la vera faccia della lotta di classe, quando cadono tutti gli orpelli “democratici” e di pace sociale tra sfruttati e sfruttatori. Continua a leggere